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Un’altra importante conseguenza della “Golden Age” fu la ricomparsa dei lungometraggi d’animazione. Fu a partire da una riflessione su Disney che, ormai nel cuore dell’era di “Carosello”, Bruno Bozzetto decise di raccogliere un suggerimento di Attilio Giovannini, regista, sceneggiatore e docente universitario: perché non realizzare un lungometraggio animato? L’unico modello davvero autorevole, quello di Disney, sembrava tuttavia inavvicinabile; nonostante il periodo fosse tra i più fiorenti di sempre per l’animazione italiana, i mezzi e le capacità artistiche a disposizione non erano paragonabili a quelli di oltreoceano. Bozzetto, tuttavia, seppe come accogliere e, in un certo senso, rinnegare simultaneamente la lezione dell’ammirato collega americano: da una parte, infatti, decise di attingere a un repertorio di storie universali, profondamente radicate nella cultura popolare. Dall’altra, utilizzò uno stile essenziale e dalla comicità pungente e arguta, profondamente personale e vicino ad esperienza europee come quelle della Scuola di Zagabria. Per quel che riguarda la storia,  è noto come, guardando oltre l’Atlantico, Disney avesse riscoperto la fiaba europea; Bozzetto, specularmente, si appropriò invece dell’epopea western. Il film sarebbe stato dunque West & Soda (1965), una satira e un omaggio al genere che, come Bozzetto stesso ama rammentare, “rischiò” per giunta di diventare il primo spaghetti western, avendo iniziato la sua produzione in anticipo rispetto a Per un pugno di dollari (Sergio Leone, 1964); i tempi di lavorazione più lunghi, però, lo portarono a uscire successivamente.

Nello stile, dunque, la deviazione dal modello Disney fu marcata, ammorbidita appena da qualche concessione, come l’uso di un linguaggio cinematografico mutuato dai lungometraggi dal vero (campo e controcampo, movimenti di macchina e così via). L’animazione limitata, il design sintetico e le frequenti gag erano invece facilmente riconducibili all’interno dell’ormai familiare estetica di “Carosello”. West & Soda, tuttavia, non è una collezione di gag disgiunte: il materiale narrativo trova coesione e struttura grazie alla sapiente creazione delle atmosfere, evocate dagli sfondi e dall’interazione dei personaggi con essi.

Altri due lungometraggi furono completati negli anni Sessanta, Vip, mio fratello superuomo (1968), sempre di Bozzetto, e Putiferio va alla guerra (1968) di Gino e Roberto Gavioli, oltre a un film che alternava riprese dal vero a una lunga sequenza animata di Pino Zac, Gatto Filippo licenza d’incidere (1966). Ma è negli anni Settanta che il lungometraggio d’animazione inizia a popolare in modo più marcato il repertorio cinematografico italiano, anche se i numeri rimangono tutt’altro che impressionanti. Ad esclusione delle opere dal vero con sequenze animate, il conteggio finale è di otto lungometraggi, alcuni dei quali però segnano dei precedenti, come la prima versione italiana a disegni animati del Pinocchio di Collodi (Un burattino di nome Pinocchio, Giuliano Cenci 1971) e l’esordio in Italia di una commedia pornografica animata, Il nano e la strega (Gibba 1975, attribuito a Gioacchino Libratti). Quattro di questi otto lungometraggi sono, significativamente, di Bozzetto: tre sono film con il signor Rossi, che però vengono trasmessi a puntate in TV (Il signor Rossi cerca la felicità, 1976; I sogni del signor Rossi, 1977; Le vacanze del signor Rossi, 1978) e, soprattutto, Allegro non troppo (1976), in cui però, come nel film che gli fece da modello (Fantasia di Disney, 1940), a cortometraggi in pantomima si alterna una cornice narrativa con attori in carne e ossa.